Divampa l’incendio sulla campagna elettorale per l’elezione di due magistrati al Consiglio superiore della magistratura. Le dimissioni dal Csm dei magistrati Antonio Lepre e Luigi Spina (colpiti dall’inchiesta di Perugia sulla corruzione a Palazzo dei Marescialli) hanno liberato due posti per i quali è scoppiata la guerra tra 16 aspiranti. All’Associazione nazionale magistrati, il sindacato composto dalle correnti-partiti “Unità per la Costituzione”, “Magistratura democratica”, Magistratura indipendente” e “Autonomia e Indipendenza”, se ne sentono di tutti i colori. Certe bordate sembrano sparate dagli avvocati di Silvio Berlusconi sotto il diluvio di incriminazioni e processi.
Nel conflitto, si staglia prepotente la figura del magistrato Nino Di Matteo, il Pm di Palermo diventato popolare sui media intervenendo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” quando sotto tiro c’erano l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro democristiano Nicola Mancino. Il suo comizio (trasmesso in streaming dal bianco palazzo romano della Cassazione) l’ha riportato sotto i riflettori. Ha sparato a zero contro la lottizzazione degli incarichi combinata tra le varie correnti-partiti dell’Anm scagliando nel salone attonito un vero e proprio anatema: «L’appartenenza a correnti o cordate – ha scandito il candidato al Csm – è diventato l’unico modo per fare carriera e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso».
C’è andato giù pesante, ma questo lo favorirà al voto del 6 e 7 ottobre nei confronti dei suoi concorrenti più diretti? In “Area”, una sottocorrente, diciamo così, di Magistratura democratica, c’è per esempio Fabrizio Vanorio, Pm della Direzione distrettuale antimafia a Napoli. Ma ci sono anche parecchie donne, toste e ben piazzate (e una senz’altro sarà eletta, dati gli standard vigenti).
È noto che la candidatura del pm palermitano è sostenuta dalla giovane corrente “Autonomia e Indipendenza” fondata da Piercamillo Davigo dopo la fuoriuscita da “Magistratura Indipendente”. Essendo Davigo membro del Csm, la campagna elettorale a favore di Nino Di Matteo la sta facendo Sebastiano Ardito, membro influente di “Autonomia e Indipendenza”. Davigo diventò famoso ai tempi del golpe mediatico-giudiziario noto alle cronache come “Mani Pulite”.
Fuori delle aule giudiziarie, Di Matteo gode del favore dei Cinquestelle, i quali l’avevano già messo in nota per fargli avere la poltrona di ministro dell’Interno.
A proposito del “caso Palamara”, il magistrato del Csm accusato insieme con un paio di alti togati di corruzione, Di Matteo ha detto: «Non c’è spazio per lo stupore. Non dobbiamo essere ipocriti».
In sintesi: la magistratura è malata e Di Matteo si candida a curarla. Missione impossibile. Soltanto l’intervento della politica (a cominciare dalla separazione delle carriere), potrebbe risanare la giustizia sconfiggendo il cancro mafioso, la sifilide della corruzione, la lebbra del protagonismo.