Sulla California incombe The Big One, cioè il terribile terremoto che, secondo uno studio americano del 2005, squasserà uomini e cose entro il 2035. Nel frattempo ci sono i “soliti” terremoti causati dalla Faglia di Sant’Andrea che abbiamo imparato a conoscere dai film catastrofici statunitensi. Migliaia le città a rischio a cominciare da San Francisco e Los Angeles.
Non mi pare che in quell’area non si costruisca più o ci sia un calo di popolazione.
In Giappone i terremoti fanno parte da millenni della vita quotidiana. I giapponesi li hanno affrontati costruendo case di legno e carta. Grazie all’evoluzione delle tecniche di costruzione, oggi anche i grattacieli sono antisismici.
La popolazione sa cosa fare in caso di terremoto e le strutture di emergenza sono pronte ad intervenire.
Il caso americano e quello nipponico dimostrano che lo spettro del terremoto non impedisce alle persone di mettere su casa e costruirsi un futuro.
Perché quando si parla del Vesuvio tornano i soliti stereotipi del napoletano fatalista? In base a quale nozione, l’americano che vive a Los Angeles e il giapponese che vive a Kobe sono “normali” e l’abitante di Pompei non lo è?
La vera differenza con Usa e Giappone sta nell’organizzazione dei piani di emergenza, nella predisposizione di percorsi di evacuazione. Insomma, il difetto sta nel manico. Ed è vergognoso colpevolizzare chi vive e lavora a Boscotrecase.
Puntano il dito e dicono ad alta voce: «È pazzo chi s’insedia alle pendici del Vesuvio» e allo stesso tempo pensano: «Se muore sotto l’eruzione, se l’è proprio cercata».
E ci sta anche qualcuno che non vede l’ora di provare l’emozione di una eruzione guardando Youtube.
Una volta un filosofo-poeta disse che la gente guarda il funambolo con gli occhi in aria sperando che si sfracelli al suolo. Aveva torto?
Giuseppe Spezzaferro